Cosa ho imparato da Frantz Fanon “Peau noire, masque blancs”?

Maria IMPEDOVO
6 min readNov 17, 2020

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Con il libro di Fanon sono rimasta sopresa a diversi livelli.

Primo, non mi ero mai questionata nella mia relazione di donna Bianca versus uomo/donna di colore. Essendo cresciuta in una regione del sud d’Italia prima della recente massiccia migrazione, la persona di colore era “rara” nella mia realtà sociale pugliese. Infatti, nella mia scuola elementare non ne avevo mai “visto” uno, alla scuola media forse uno. Lo straniero era l’albanese o il serbo, che di carnagione bianca e di perfetta padronanza della lingua, non chiedevano altro di essere assimilati nella rete sociale e lavorativa il più rapidamente possibile. L’uomo di colore per me era il venditore ambulante per le strade del paese alla festa patronale. E sono sicura, per molti del mio villaggio la relazione con una persona di colore si ferma allo scambio di una borsa di pelle, di una cintura, di un portafoglio bien imitato. Dove si sa, si deve provare a far abbassare il prezzo dato che “ci provano”.

La persona di colore quindi non è mai stata una questione di vera relazione identitaria per me. L’uomo di colore era pero’ da sempre presente nell’immaginario, nel linguaggio: “Se non fai la brava, chiamo l’uomo nero”; “Non fare la cattiva, altrimenti viene l’uomo nero”. La discussione finiva li, non ho mai chiesto delle informazioni aggiuntive sull’uomo “nero” in questione. Senza domandare, sapevo già da piccola che l’uomo a cui si faceva referenza era lo straniero, il diverso, il cattivo, colui che potrebbe fare del male, senza ragione apparente. Eppure mi sbaglio: la persona di colore è sempre stata li in casa, precisamente nella televisione, interpretando personaggi stereotipati. Nello sfondo di un soggiorno, distratta dalle avventure emotive e vuote di una protagonista bianca, senza saperlo, costruivo la mia relazione con la persona di colore: “la persona bianca, di fronte a questo differente da lui, cerca di difendersi.Questo vuol dire caratterizzare l’Altro”. Spesso, in negativo.

A Marsiglia, tutto è diverso. La città è un porto sin dalla sua fondazione. Eppure, anche in questo nuovo scenario della mia vita quotidiana, la mia relazione identitaria con la persona di colore non è mai stata posta in questione. Poi Fanon, mi ha condotto in una zona di riflessione nuova.

Come dice l’autore ‘perché scrivere questo libro?nessuno me l’ha chiesto”. Lo stesso direi di me “perchè leggere questo libro? Nessuno me l’ha chiesto”, o meglio perchè questionarmi di una dimensione relazione — come io donna bianca nella mia relazione con la persona di colore-che non è stata mai una vera questione identitaria per me. Come dice l’autore “Il bianco è racchiuso nella sua bianchezza”. In una superiorità che depassa la semplice amissione di essere aperti all’altro.

L’attualità del libro mi sorprende per averci ritrovato delle esperienze di vita personali, anedottiche eppure marcanti. In Marocco e poi Camerum ero rimasta sorpresa da un taxista e da una donna instruita di colore che si riferiva ad “altri” come i “veri” africani, un Altro che ha meno accesso ad una traiettoria immaginaria verso un simbolico capitale immaginario bianco.

Secondo, a parte la dimensione di colore, Il libro apre una riflessione sulle zone alieniate della mia identità di donna/bianca/ di classe popolare e poi mi invita a trascendere il genere/colori/la classe sociale verso un umanesimo ancora non realizzato.

Alcuni punti importanti per me:

- Il malessere dell’uomo è quello di essere stato bambino. La dinamica famigliare, sociale, culturale è introiettate e si diventa inevitabilmente parte di universi di discorso di cui diventa coraggioso sapere come metterlo in discussione in età adulta: “chiuso in una obiettività che anniente, imploravo l’altrui”.

- Si appartiene al proprio secolo, al proprio paese, alla propria esistenza. In alcun modo bisogna prepararsi al domani, in una moratoria che porta alla paralisi dell’azione. “Appartengo irriducibilmente alla mia epoca”. Il solo presente conta come assicurazione più sicura del futuro. Il presente è l’ancoraggio dell’azione.

- Prestare attenzione al linguaggio che usiamo e che viene usato verso di noi per accedere alla rappresentazione che abbiamo dell’altro e che l’altro ha verso di noi. Quando in Francia, sono stata presentata da una collega verso un altro collega come “la nostra piccola italiana”, all’età di 30 anni, in un contesto di lavoro, in una occasione formale, l’espressione mi ha colpito, ho sentito una sensazione di distrubo ma non sapevo come codificarla. Il razzismo ha mille sfumature che possono essere il solo depositare uno sguardo sull’altro. Non mi sentivo la loro, “non ero piccola”, la mia condizione di italiana in quel contesto non era rilevante. “Parlare petit-negre, è esprimere questa idea: tu, resta dove sei”. Poi l’esperienza della migrazione è universale e la ricorsività delle stesse espressioni date e ricevute dovrebbe meravigliare “Da quanto tempo sei in Francia?Voi parlate bene francese”. Siamo cosi poco creativi nelle relazioni umani quotidiane?

- Il senso di inferiorità. È un tema maggiore del libro. È un tema che mi parla. Dalla mia condizione di figlia di operaio, l’altro professionista nella interazione mi ha spesso classificato e mi sono lasciata classificare: parafrasando Fenon “da una donna si chiede una condotta da donna. Da me una condotta di donna bianca di classe popolare. Desideravo il mondo e il mondo mi amputava del mio entusisamo. Mi domandava di confinarmi, di ridurmi”. Entrare in una professione di cui non si conosce nessuno, essere professionista tra i professionisti: “è il razzismo che crea l’inferiorizato”. L’alienazione è anche assenza di risposta, di reazione, di riflessione al seguito di uno scambio verbale, sfuggente, con uno sconosciuto, un autorià, un datore di lavoro, un compagno di banco di diversa estrazione sociale. Nell’interazione che si apre la negoziazione di senso: “In nessun caso, il mio colore (la mia classe sociale) deve essere sentita come una tara”. Eppure l’alienazione è pronta ad essere vissuta più volte per chi l’ha subita a sopresa la prima volta. Puo’ restare intatta anche dopo un processo di intellettualizzazione, di schooling.

- Il corpo è organo di questionamento. Il sentire passa per il corpo. Dal corpo, all’universale “Mi sento un anima cosi vasta come il mondo, il mio petto ha una potenza di espanzione infinita…Volevo alzarmi, ma il silenzio eviscerato ritorna verso di me. Irresponsabile, mi metto a piangere”. Un corpo personale, che non ha passato e sulla cui pelle, come dice Fanon, non sono depositati nessun valore specifico legato al colore. Un corpo per sentire, per toccare, fatto per rivelarsi all’altro.

- Tutto l’esistente merita una soluzione, è la migliore è quella di tracciare un percorso di libertà per se stessi e gli altri. Come psicoanalista (e come insegnante nella relazione educativa?): “il mio obiettivo, al contrario, sarà quello, una volta le cose messe in chiaro, di mettere in misura di scegliere l’azione (o la passività) a la luce della vera sorgente conflittuale”. Da parte del paziente/studente l’invito è all’azione: “dato che gli altri esitano a riconoscermi, non mi resta che una sola soluzione: farmi conoscere”. L’invito come psichiatra/insegnante è quello di sentirsi liberi di rifiutare una soluzione malsana, conflittuale, nutrita di fantasmi, antagonista, inumana. Per farlo, bisogna tendere all’universale. E la capacità di scelta è al centro della discussione: “io posso e riprendermi il mio passato, valorizzarlo o condannarlo per le mie scelte successive”.

Terzo, il libro mi ha stupito sullo stile. Il libro apre dialoghi, introduce poesia, si nutre di citazioni litterarie e scientifiche, stupisce il lettore per il largo repertorio che è possibile attivare nella narrativa. Poi, l’autore stesso è poeta: “l’occhio non è solamente specchio, ma anche specchio raddrizzatore”.

Sono stata occupata a leggere il libro e non alle intepretazioni del testo. La mia lettura si aggiunge alle altre, per testimoniare una reazione personale, locale, provinciale eppure empatica dell’universale delineato: “l’uomo è un si, a la vita, a l’amore, a la generosità”.

“Mi risveglio un giorno e mi riconosco un solo diritto: quello di esigere dall’altro un comportamento umano”.

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Maria IMPEDOVO

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